Con la legge n.78/2022 il Parlamento ha delegato il Governo a varare il nuovo Codice contratti entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, quindi entro il 20 dicembre prossimo. Una scadenza importante quanto vicina per il nuovo esecutivo. La conferenza nazionale degli Ordini degli architetti Ppc lamenta di non essere stata coinvolta nel dibattito sulla riforma ma il coordinamento di quelli del sud ha elaborato un contributo.
Nel corso della conferenza nazionale degli architetti, che si è tenuta a Roma lo scorso week end, è stato reso noto il documento elaborato dal coordinamento degli Ordini degli architetti del sud, suddiviso in tre parti: la prima punta a superare le criticità del quadro normativo vigente; la seconda è incentrata sulla salvaguardia degli obiettivi già raggiunti con il codice in vigore; l’ultima, infine, chiede norme finanziarie a supporto del nuovo codice dei contratti. Il documento è stato approvato in toto ed è diventato il contributo che gli ordini nazionali proporranno al nuovo Governo in vista della riforma del Codice dei contratti.
L’obiettivo del documento è tornare a mettere al centro la progettazione. Vengono sottolineate le divergenze da alcuni principi contenuti nella legge 78, come il rilancio dell’appalto integrato definito “procedura stantia che relega il progetto ad un ruolo marginale nell’esecuzione delle opere pubbliche”. Un altro aspetto controverso riguarda la proposta di reintroduzione degli incarichi gratuiti che le stazioni appaltanti potranno utilizzare, anche se solo con adeguata motivazione. Una battaglia centrale che i professionisti stanno giustamente conducendo da tempo contro questa forma di sfruttamento. Per superare queste ed altre criticità la proposta porta con sè una parola d’ordine: semplificare. Si punta all’intero processo, con una disciplina speciale per quel che concerne i servizi di architettura e ingegneria, favorendo il concorso di progettazione a due gradi e la riduzione dell’appalto integrato che non consente alla progettazione il giusto rilievo.
I dati dell’Agenzia della Coesione territoriale denunciano che la costruzione di un’opera pubblica in Italia, di dimensione strategica media, viene realizzata in circa 10 anni e che in media il 38% del tempo di attuazione è richiesto per la progettazione, il 10% per la fase di aggiudicazione dei lavori e il 52% per
l’esecuzione delle opere. Ecco le soluzioni secondo gli architetti italiani:
- La programmazione opere pubbliche di importo inferiore alla soglia comunitaria, sia supportata da un semplice studio di fattibilità, in luogo del più complesso PFTE (modifica art.21);
- La progettazione definitiva possa essere accorpata a quella esecutiva, con acquisizione dei pareri di rito sulla base del PFTE, purché la progettazione esecutiva contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso, salvaguardano qualità delle prestazioni e corrispettivi (modifica art.23);
- Per lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria: la verifica dei progetti deve rientrare tra le competenze del Rup, che potrà avvalersi della collaborazione di una qualificata figura di supporto, riducendo i tempi per la validazione del progetto (modifica art. 26); il collaudo tecnico-amministrativo sostituito dal certificato di regolare esecuzione, redatto dallo stesso direttore dei lavori, in modo che le opere pubbliche possano essere collaudate e rese agibili immediatamente dopo la fine dei lavori (modifica art.102);
- Affidamento prioritario SAI ai liberi professionisti sino al 2026: almeno sino al 31 dicembre 2026, vengano affidati i servizi di progettazione prioritariamente ad operatori economici esterni alla stazione appaltante, con l’obiettivo di rilanciare le attività dei liberi professionisti e di imprimere un’accelerazione alla progettazione dei lavori del PNRR.
Infine, è importante superare la fase emergenziale e rendere strutturali alcune norme come l’istituzione di un fondo di rotazione strutturale da finanziare inizialmente con una dotazione di 500 milioni di euro, che si autoalimenti con i ribassi provenienti dall’appalto dei lavori. Poi, sempre nell’ottica della semplificazione, si chiede di puntare ad un unico regolamento, breve e chiaro, che possa ricomprendere in modo sintetico i numerosi decreti attuativi e le tante linee guida Anac, che attualmente finiscono per sovrapporsi, alimentando confusione.